Leo non è morto
È inizio Luglio del 2016 e con Lynn decidiamo di andare in quel paradiso che è Ailefroide, nel Brianconese, per scalare da quelle parti; così riempiamo la macchina di tutta la nostra attrezzatura e iniziamo il nostro solito “viaggio di redenzione” di una decina di ore, da Roma verso l’arco alpino.
Ogni volta che montiamo in macchina ci ripetiamo sempre la stessa cosa io e lui << a zi me so stufato de fa sto viaggio, avanti e indietro, tutte le volte, se demo trasferì qua su, così famo le guide alpine, famo i soldi e smettemo de fasse venì er culo piatto a furia de sta seduti in macchina >>
Ma alla fine torniamo sempre a casa, giù in Terronia, perché la verità, in fondo in fondo, è che ci piace questa terra.
Comunque una volta arrivati al campeggio montiamo le nostre tende vicino il bosco, tiriamo fuori dalla macchina due amache di quelle che vanno di moda ora, le leghiamo su dei bellissimi alberi ombrosi e ci mettiamo a dormire stanchi del lungo viaggio (non ricordo una dormita più bella di quella in vita mia).
Il giorno dopo lo passiamo allo stesso modo, ad oziare e a godere del bellissimo posto in cui siamo, senza neanche farci sfiorare dall’idea di andare a scalare, nemmeno due tiri in falesia; io e Lynn insieme abbiamo sempre la tendenza a oziare e rilassarci un po’ troppo, ma a noi piace così!
La sera però, presi anche dai sensi di colpa, decidiamo che al primo giorno di bel tempo saremmo saliti sulla Barre des Ecrins. Così guardiamo le previsioni meteo, chiamiamo il rifugio Des Ecrins e prenotiamo per la sera dopo.
La mattina seguente, con gran calma, ci prepariamo gli zaini e andiamo verso Prè de Madame Carle, dove lasciamo la macchina, prendiamo un caffè all’omonimo rifugio (dove oltretutto c’era a servirci una cameriera meravigliosa, e chi se la scorda più, con la quale Lynn, mischiando inglese francese e italiano, prova ovviamente ad attaccare bottone senza successo) e ci incamminiamo.
Facciamo una tappa al rifugio Glacier Blanche, ci portiamo verso il ghiacciaio e qui vediamo un gracchio perdere una piuma prendendo il volo, Lynn la raccoglie e se la mette in tasca e senza fermarci arriviamo al rifugio.
Il mattino successivo ci alziamo per fare colazione alle 3.00 del mattino, orario consigliato dal la rifugista, ma la nostra solita pigrizia ci spinge a ritornare in branda e farci un’altra ora di sonno, alla faccia di tutti gli altri.
Alle 4.15 iniziamo a camminare per il ghiacciaio dove vediamo la fila di lucine bianche delle frontali di chi è partito ben prima di noi.
Svegliarmi così presto non mi è mai piaciuto, anzi mi infastidisce ogni volta di più, ma poi vedere quella luce debole proveniente dal mio caschetto, che illumina i miei passi sulla neve e sentire il rumore dei ramponi che grattano la neve rigelata mi piace, mi fa sentire bene e mi fa accettare di buon grado la fatica che sto facendo.
Iniziamo le nostre solite chiacchiere senza senso, ridiamo e scherziamo, parlando di non ricordo neanche cosa, e senza neanche accorgercene recuperiamo tutto lo svantaggio sulle altre cordate e, appena il ghiacciaio si fa più ripido, siamo già in testa, ovviamente seguitando a dire sciocchezze ad alta voce.
Lasciamo la traccia della via normale per portarci quasi sotto la verticale della cima (ancora prima di arrivare al Dome), superiamo la terminale e tiriamo dritti per pendii nevosi a 65° circa, arrivando in cima con 3 tiri di corda e un piccolo tratto in conserva lungo la cresta.
Arrivati in cima ci diamo il nostro solito abbraccio e subito Lynn apre la tasca dello zaino e tira fuori la piuma e mi fa << Lollo viè qua … afferra sta piuma co me che questa la lanciamo da qua su per Leo, sperando che il vento gliela porti … così ce guarda e ce protegge da là su!>>.
Per un attimo ho pensato che mi sarei messo a piangere; io e Lynn abbiamo un rapporto molto particolare, a volte mi fa davvero incazzare, e io faccio incazzare lui, perché abbiamo due modi molto diversi di affrontare la vita, ma poi tira fuori dal cappello momenti come questo, che mi fanno venire voglia di abbracciarlo forte di nuovo e non mollarlo più.
E così lasciamo andare la piuma che, nonostante il pochissimo vento di quel giorno, inizia a fluttuare e salire in aria sempre di più, fino a scomparire.
L’indomani, dopo essere riscesi a valle, decidiamo di andare a vedere Briancon e, dopo un giro nel centro storico finiamo in un parco molto carino di fianco al fiume Durance, dove incontriamo una combriccola di ragazzi del posto che ridono, scherzano, bevono birra e giocano con una slackline; ci avviciniamo, chiediamo di salire anche noi sulla slack ed entriamo subito in confidenza. Dopo un’oretta passata con questi ragazzi, arriva una ragazza del gruppo davanti a noi e ci mostra un mazzetto di piume di gracchio, tutte colorate con colori molto accesi, noi non capiamo subito cosa voglia da noi e cerchiamo di farglielo comprendere e lei ci spiega, alla meglio, che le aveva appena trovate e colorate le e che ce ne voleva regalare una a testa.
Io e Lynn ci guardiamo un po’ stupiti e accettiamo l’originale regalo.
Da quel momento ci chiediamo ancora se, in qualche maniera, non sia stato Leo a fare in modo di restituirci la piuma, come per rispondere al saluto che gli abbiamo inviato dalle montagne.
A me Piace pensare che sia così, fatto sta che da allora, ogni volta che trovo sulla mia strada una piuma di gracchio, la raccolgo pensando che sia stato Leonardo a mandarmela, aspettando il momento giusto di restituirla, magari lanciandola ancora da una montagna, o lasciandola andare giù a valle lungo un torrente… aspettando il momento di ritrovarne un’altra ancora.